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"DOGE VENEZIANO", Olio su tela.
"DOGE VENEZIANO", Olio su tela (particolare).
"DOGE VENEZIANO", Olio su tela (particolare).
"DOGI VENEZIANI", Hotel Antico Doge di Venezia
PUBBLICAZIONE "ANTONIO MINGOLLA A VENEZIA"
 

 

I Dogi di Antonio Mingolla tra passato e presente nella sua Galleria di Ritratti all’antica.

La storia del ritratto è una storia affascinante quanto complessa. Fin dai tempi più antichi è stato un vezzo ma anche un riconoscimento e una autocelebrazione in forma iconica, farsi ritrarre in immagini più o meno intime, o istituzionali dagli artisti di ogni tempo. Passati alla storia sono di certo i ritratti del Fayyum, rinvenuti in un'oasi romana in territorio egizio ma in un'area fortemente ellenizzata; le tavole sono note per il loro realistico piglio e per la veridicità del tratto, tanto da avere un naturale riscontro con la pittura ad encausto di Età Imperiale, come il Ritratto di Paquio Proculo e della moglie o quello così detto dello Scriba o Saffo, che coniugano il dato estetico al cerimoniale domestico, trovando spazio negli ambienti più rappresentativi delle dimore patrizie. Questo taglio encomiastico è ripreso anche nel conio delle monete e nella sua costante tradizione legata sia al valore di scambio che alla sua versione espressamente celebrativa, con la variante della medaglia incisa. Il conio all’antica interesserà persino l’opera del grande Imperatore Federico II di Svevia che con il suo augustale, battuto dalle Zecche di Messina e Brindisi, riportò in auge proprio il modello del Caesar romano in linea con la sua politica e le sue amate litterae. Qui il profilo genera un modello che sarà ripreso nella pittura umanistica e rinascimentale e darà vita alla prima grande rinascenza "dipinta" a cura dei grandi artisti del primo Quattrocento: da Pisanello a Domenico Ghirlandaio, a Piero di Cosimo o a Piero della Francesca fino alle più celebri effigi di Botticelli ma con ancora negli occhi il ricordo dei bronzi stampigliati di Matteo de' Pasti, vero maestro nell’arte umanistica. Una nota di merito va attribuita anche al grande pittore siciliano Antonello da Messina che con la tecnica del dipingere a olio su tavola, riporta nella penisola italiana la grande tradizione del ritratto fiammingo e tedesco dando vita a capolavori di ineguagliato lume. Nel periodo del Rinascimento maturo invece si fa strada una "necessità" dello spirito che impone un uso nuovo della ritrattistica che si distanzia dalla volontà meramente rappresentativa dello status dell'effigiato per volgere lo sguardo piuttosto al carisma e all'animo del committente. Nasce così la grande stagione del ritratto italiano che apre alla sua fortuna critica con quel saggio di ineguagliato vigore artistico che è il Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello. La ritrattistica che guarda all'anima fa cogliere "al di sotto del villo", il cuore che palpita e l'intelletto che esprime i suoi desiderata. Questa perforante verità di luce rende, il genere maggiormente apprezzato e richiesto dai committenti che si contendono artisti del calibro di Leonardo da Vinci e Raffaello saranno scelti per immortalare persino le cortigiane del tempo, come l’amante del Moro che lo guarda maliziosamente al di là dello spazio dipinto, o la stessa concubina del Sanzio La Fornarina che a petto nudo mostra, ben in vista, un bracciale da schiava con impressa la “di lui proprietate”. Il manierismo poi incute ritrovato vigore al genere, partendo dalle prove offerte dall’alchimista Parmigianino che nell’Antea (sperimentale nel suo “taglio all’americana”) o nel Ritratto di Gian Galeazzo Sanvitale, inserisce elementi bizzarri quanto enigmatici, o la magnifica galleria della famiglia di Eleonora di Toledo dipinta da Agnolo Bronzino, con le vesti a raccontarci la storia di una genealogia di lungo corso. Ma proprio nel contesto dell’epoca della pittura manierista nascono alcuni dei capolavori di cui si “occupa” Antonio Mingolla nello studio che sottende un lavoro di copia e rielaborazione dei modelli della ritrattistica ufficiale dei Dogi. Una ricerca che lo ha portato ad esplorare le più svariate attitudini dei personaggi dipinti, in una sequenza mozzafiato di tipi e stati d’animo. I precedenti illustri, che portano la firma di Vittore Carpaccio, Giovanni Bellini, Tiziano Vecellio, Jacopo Tintoretto, offrono all’artista brindisino un archetipo visivo ma anche la misura con la quale confrontarsi, in un lavoro che non né mera copia ma affascinante confronto con i Grandi maestri della pittura italiana. Una pennellata fluida e corposa restituisce membra mobili e tratti corrucciati ma anche sguardi talvolta benevoli altre volte torvi, o sorrisi che si confondono per ghigni, in un moto vorticoso di emozioni al di là da venire. La tavolozza poi non teme il tradizionale confronto con il passato, anzi sfida antiche tempere, misture fatte con colle animali e pigmenti, in un corso continuo tra un prima e un ancora un po’ dopo, alimentato da una tecnica senza eguali e una passione che buca la tela e coglie l’osservatore in una lunga folgorazione. É l’ambiente lagunare a far maturare infine negli occhi dell’artista quella vibratilità del tratto e quella prestezza del colore chi si porta dietro inevitabilmente dai tempi del suo primo soggiorno lagunare. La trazione iconografica e la fortuna critica che accompagna la serie dei circa 120 ritratti dei Dogi è poi a sigillo di un corpus di tele che sono materia privilegiata di studio per il Nostro che ritrova stimoli e segni ben impressi nella memoria della Serenissima a fargli da modelli “viventi”. Persino le oselle, celebri monete coniate dalla Zecca di Venexia e dono del Doge ai maggiorenti del Maggior Consiglio, presentano (in alcune prove) dei ritratti dei Dogi e delle dogaresse Morosina Morosini Grimani ed Elisabetta Querini Valier. Il gusto eccelso, il talento di base e l’ampio repertorio di lavoro. già impresso nel genere di riferimento, fanno di questo momento una vera e propria stagione della maturità, nella quale si raggiunge un momento apicale che coniuga cultura di base ed esperienza di bottega. Mingolla, che si è formato alla Scuola di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, ha dunque memoria del disegno e della sua natura descrittiva, ma qui àncora questo tratto libero ad una maggior ampiezza del gesto nella definizione di fisionomiche puntuali in una attenzione al dato storico di grande congruità estetica, per un lavoro tutto da vedere e da vivere, privilegio che avranno di certo i già fortunatissimi ospiti dell’Hotel dei Dogi.

 

Francesca Di Gioia

 

Dal 1360 in poi l'immagine commemorativa del nuovo Doge veniva allineata lungo le pareti della Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale.

Per oltre IV secoli i più illustri pittori della Serenissima Repubblica si contendevano l’onore di ritrarre la suprema magistratura veneziana. Artisti del calibro di Giovanni Bellini, Tiziano, Tintoretto e Jacopo Palma il Giovane immortalarono con i loro pennelli il ritratto del “Serenissimo Principe”.

Questi volti ci sono giunti nei secoli attraverso copie e repliche eseguite per le rispettive famiglie dogali, anche dopo che gli originali vennero distrutti dal terribile incendio che nel 1577 aveva devastato Palazzo Ducale.

Nel 2018 Antonio Mingolla, artista brindisino ma attivo in Veneto da un decennio, riprendendo la secolare tradizione ritrattistica veneziana, ha realizzato 10 ritratti di dogi per l’Hotel Dogi di Venezia. Mingolla per le figure di Giovanni Pesaro, Aloisio Pisani e Giovanni II Corner ha eseguito fedeli repliche di antichi dipinti conservati in laguna, mentre per quelle di Ottone Orseolo, Marin Falier e Pietro Candiano ha utilizzato come un novello Caravaggio modelli reali, “gente del popolo”, elevata ad una carica principesca.

È proprio in questi ultimi ritratti, le cui fisionomie sono andate perdute nella memoria (se non volutamente cancellate), che l’artista salentino è riuscito a esprimere appieno la sua forza pittorica. Mingolla, rimeditando sul genere del ritratto commemorativo e sociale diffuso a Venezia, ha riplasmato attraverso un naturalismo caravaggesco volti dallo sguardo vivido e penetrante, che cercano un colloquio costante con lo spettatore.

In ognuno dei 10 ritratti i personaggi sono isolati contro uno sfondo brunito. La luce che scende dall’alto modella i tratti dei volti, spesso attraverso un potente chiaroscuro, così da enfatizzare l’espressione vibrante e la plasticità dei corpi.

Secondo la tradizione veneziana tutti i dogi indossavano la Zogia (il corno ducale), posto al di sopra del camauro (una cuffietta di lino bianca). L'ampio manto di broccato d’oro invece che riveste i personaggi è stato realizzato con tocchi lunghi e sintetici, limitando i colori alla gamma dei rossi, dei bruni, dei bianchi e dell’oro.

 

Francesco Fabris

 

 

"DOGE",collezione privata.
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